Luiss University Press - Rai/Eri, 2007
Conoscere il
pensiero di Nicola Matteucci è illuminante per capire che cosa sono i
diritti individuali del moderno liberalismo che è stato così bistrattato
nell’Italia dei massimalismi e dei populismi
Con Nicola Matteucci è scomparso il maggiore intellettuale
liberale italiano dopo Benedetto Croce. Filosofo politico e storico delle
idee, Matteucci ha contribuito allo studio del costituzionalismo
anglosassone come dottrina delle libertà e dei diritti individuali
alternativa all’onnipotenza dello Stato propugnata dal giacobinismo
francese. Sono qui analizzati gli aspetti essenziali della vita e
dell’opera del pensatore controcorrente che in Italia è stato osteggiato
dall’intellighenzia marxista, populista e conservatrice di destra e di
sinistra. Lo testimoniano le brillanti interviste di Luigi Pedrazzi, Gianpaolo Pansa, Edmondo Berselli, Angelo Panebianco, Luigi Compagna, Roberto Pertici e Tiziano Bonazzi. Questo piccolo ma intenso
profilo è indispensabile per chiunque voglia riscoprire le origini e il
vigore di un pensiero liberale tutt’altro che obsoleto nella stagione in
cui sono tramontate le illusioni dei grandi rivolgimenti palingenitici.
***
INDICE
IL MIO MATTEUCCI
I – L’UOMO E
L’INTELLETTUALE
- Il liberale
scomodo
-
Giovinezza di guerra, (con Luigi Pedrazzi)
- Il padre: un
assassinio del dopoguerra (con Giampaolo Pansa)
- La cultura
civile europea
- “Il Mulino”
(con Edmondo Berselli)
- Il
divulgatore: il dizionario di politica
- Di fronte al
Sessantotto (con Roberto Pertici)
-
L’intellettuale solitario
II - IL MAESTRO
E LE IDEE
- Il teorico del
liberalismo (con Gianfranco Pasquino)
- Lo storico
delle idee (con Luigi Compagna)
- Il magistero
di Croce
- Perché
l’America (con Tiziano Bonazzi)
- La bussola
Tocqueville
- Libertà
anglosassone versus giacobinismo francese
-
Costituzionalismo e diritti individuali (con Angelo Panebianco)
-
L’antitotalitario
ARTICOLI
COMMEMORATIVI
NOTA
BIOGRAFICA
NOTA
BIBLIOGRAFICA
***
IL
MIO MATTEUCCI
di Massimo Teodori
Dobbiamo
molto a Nicola Matteucci, noi che siamo stati liberali giovani negli anni
Cinquanta e dopo mezzo secolo siamo ancora liberali, anche se ben più
vecchi. Per oltre mezzo secolo ha rappresentato un robusto riferimento
per quanti si richiamavano al liberalismo al di là delle mode
estemporanee e delle conversioni occasionali. Il filosofo bolognese, tra
i rari intellettuali italiani di autentico respiro occidentale, è rimasto
sempre estraneo a quella ambigua genericità che spesso nasconde
l’opportunismo se non addirittura l’imbroglio intellettuale e politico.
Matteucci ha alimentato con passione la ricerca sul liberalismo senza mai
ostentare la boria intellettuale di chi si sente depositario di qualche
verità e ritiene di potere con il suo verbo salvare il mondo. Il
liberalismo che ha ispirato le sue ricerche nella storia delle idee e
nella filosofia politica è stato immune da qualsiasi dogmatismo e
immobilismo: “Il liberalismo è, al contrario delle altre dottrine, tutte
più o meno ideologiche, prima di tutto un metodo o, se si preferisce, una
sensibilità: è proprio la metodologia atta a smascherare le pretese
totalizzanti delle ideologie politiche che si presentano sul proscenio
della storia”. Nel tempo che ci separa dal dopoguerra pochi sono stati i
pensatori che hanno saputo tenere ferma la barra delle loro idee senza
cavalcare i conformismi del momento pur essendo pronti a rimettere in
discussione le interpretazioni dottrinali, più o meno ossificate. Non a
caso la ricerca di Matteucci si è indirizzata dapprima verso i costituzionalisti
liberali europei e americani Jacques Mallet-Du
Pan, Charles Howard McIlwain e Alexis de
Tocqueville che entrarono a far parte della sua biblioteca ideale dei
classici accanto a Immanuel Kant, Wilhelm von Humboldt,
Benjamin Constant, John Locke, Montesquieu,
David Hume, James Madison, John Adams, e più tardi anche a Friedrich A.
von Hayek e Hannah Arendt.
Dell’insegnamento di Benedetto Croce apprezzò in particolare il
liberalismo fondato sulla concezione etica della libertà mentre si sentì
distante dal liberismo economico in quanto “in ogni provvedimento
economico dovrebbe essere giudicato non in base alla sua produttività, ma
in rapporto all’accrescimento delle libertà etico-politiche che ne
derivano”. Che si sentisse partecipe della dimensione etico-politica del
liberalismo e molto meno della dottrina liberistica in economia, è
confermato dalla vicinanza politica che ebbe con Ugo La Malfa, il genuino
interprete del liberalismo empirico che tentava di introdurre in Italia
le esperienze economico-sociali newdealistiche
e beveridgiane.
Ho
preferito ricordare Nicola Matteucci, sulla falsariga delle trasmissioni
tenute a Radio-3 Rai nel gennaio 2007, come intellettuale animato da
passione civile che ha partecipato alla vita pubblica italiana senza
rinchiudersi nei suoi studi a cui pure ha dato un rilevante contributo.
Queste pagine, dunque, vorrebbero essere leggere (spero non
superficiali), a-sistematiche (non omissive), e attente all’uomo al di là
del profilo scientifico dello studioso. Anche grazie alle brevi
interviste di amici, allievi e opinionisti quali Edmondo Berselli,
Tiziano Bonazzi, Luigi Compagna, Angelo Panebianco,
Gianpaolo Pansa, Gianfranco Pasquino, Luigi Pedrazzi
e Roberto Pertici, ho cercato di comporre le
tessere di un affresco che rappresenta l’intellettuale pubblico per come
è realmente vissuto nell’Italia che usciva dal fascismo e dalla guerra e
si avviava alla rinascita materiale e spirituale fino a divenire una
società democratica di massa. Ho tentato di tratteggiare l’eccentricità di
Matteucci rispetto alla più conformista intellighentzia
italiana, oscillante tra la polarità illiberali – dal marxismo al
cattolicesimo integralista fino al populismo – e la “correttezza
politica” progressista. Non si può non notare che l’altro prestigioso
filosofo politico italiano del dopoguerra, Norberto Bobbio, che ha
edulcorato l’originario imprinting liberale con una tiepida disponibilità
pratica verso la sinistra comunista, abbia avuto quella popolarità e
quegli onori, tra cui il laticlavio senatoriale, che non sono stati
riservati a Nicola Matteucci.
Non
c’è stato momento della vita pratica e dell’attività intellettuale di
Matteucci che non sia stato in qualche misura controcorrente, pur nel
quadro della buona compostezza borghese che ha ispirato la sua esistenza.
Nella rossa Bologna non nascose mai il suo anticomunismo che non gli
impedì di intrattenere rapporti di stima con i più aperti intellettuali
di sinistra. Nello stesso ambiente del Mulino, che pure è stato per tanto
tempo la sua casa, criticò la svolta “democratico-progressista”
dell’associazione che metteva in sordina l’originaria ispirazione
democratico-liberale. E quando alla facoltà di Scienze politiche che
aveva contribuito a formare, le cose non andarono come desiderava,
preferì trasferirsi ad altra facoltà e ad altro insegnamento piuttosto
che alimentare una conflittualità che non gli apparteneva. Questo il suo
carattere, ostico per qualcuno, in realtà semplice e austero fino ad
autolimitazioni forse non necessarie. Ne fa fede un caso che mi era
rimasto sconosciuto. Mi sono stupito di non avere trovato nell’intera
collezione de Il Mondo di Mario Pannunzio
(altro precoce e solitario cultore di Alexis de Tocqueville) un solo
articolo a firma Matteucci: perché mai il prestigioso settimanale,
espressione autentica del liberalismo moderno, che annoverò tra i
collaboratori diversi amici di Matteucci - Vittorio De Caprariis, Rosario Romeo, Francesco Compagna per non
parlare di Ugo La Malfa - non ospitò mai gli scritti del filosofo
bolognese? Non certo per estraneità culturale o per dissapori politici,
dato che il terzaforzismo liberale estraneo al
PCI e alla DC è sempre stato l’autentica cifra politico-culturale di
Matteucci sia negli anni del centrismo che in quelli del centrosinistra e
del compromesso storico. La risposta che mi sono dato – e mi dispiace di
non avere potuto parlare con il diretto interessato – è che Matteucci
riteneva il settimanale liberale (1949-1966) influenzato da personalità
che guardavano all’antifascismo in maniera troppo mitica. Infatti dagli
anni Cinquanta Matteucci polemizzò gli ambienti azionisti sostenendo che
alla categoria dell’“antifascismo” occorreva
sostituire quella del “post-fascismo”. Ed aveva ragione.
Oltre
che al maestro di liberalismo sono stato legato a Matteucci anche da
rapporti personali. Non l’ho frequentato solo in numerosi convegni
dell’ambiente liberale-laico-radicale in cui sono vissuto, ma ho avuto la
fortuna anche di intrattenere incontri ravvicinati. Quando all’inizio
degli anni Settanta, dopo il libro su La nuova sinistra americana (1969)
che suscitò interesse per la sottolineatura della tradizione libertaria
americana, preparai una Storia delle nuove sinistre in Europa, fu proprio
Nicola a consigliarne la pubblicazione al Mulino che lo editò nel 1976,
nonostante l’eccentricità del tema rispetto alla linea editoriale. Più
tardi, nel 1992, al tramonto della prima Repubblica, Nicola accettò con
giovanile entusiasmo di essere tra gli esponenti nazionali della lista
Referendum guidata da Massimo Severo Giannini e realizzata da un gruppo
di radicali di cui ero parte. Più di recente Nicola mi chiamò al suo
fianco nella Società libera, una piccola associazione che avrebbe dovuto
promuovere azioni politico-culturali ispirate al liberalismo. Infine mi
pace ricordare le fervide conversazioni che abbiamo intrattenuto a
Cortina durante gli incontri culturali agostani degli ultimi anni.
Per
il titolo del profilo ho pensato che fosse opportuno qualificare Nicola
Matteucci non solo con l’ovvio termine “liberale” ma anche con
l’aggettivo “scomodo”. Il lettore giudicherà se sono riuscito a rendere
l’idea di una personalità che lascerà un segno nel futuro, forse più di
quanto sia riuscito ad incidere nell’opinione pubblica in vita.